Molti di noi hanno già sentito parlare più volte di Bitcoin, soprattutto negli ultimi giorni in cui il suo valore è sceso vertiginosamente. A grandi linee, bene o male, tutti sappiamo che il Bitcoin è una moneta virtuale e che coloro che avevano investito inizialmente in questo tipo di valuta si sono arricchiti. Al giorno d’oggi questa informazione potrebbe anche bastarci per sparare quattro giudizi e sostenere una conversazione pseudo-intellettuale, pro o contro, con il primo che inizia a parlarci di criptovaluta. Ma, semmai ci trovassimo davanti qualcuno che effettivamente conosce la materia allora ai suoi occhi ci staremmo arrampicando molto probabilmente sugli specchi. Anche perché, ammettiamolo, mica è tanto facile comprendere appieno il funzionamento di questa tipologia di monete virtuali né tanto meno spiegarla!
Allora, facciamo subito un collegamento: la criptovaluta, come suggerisce questa parola, è un bene basato sulla criptografia (o crittografia) di cui abbiamo parlato poco tempo fa qui. Cosa significa questo? Che abbiamo a che fare con un formato crittografico il cui valore è generato da vari fattori su cui gli esperti stanno ancora dibattendo e questo spiega anche l’insicurezza e la diffidenza generale verso questo tipo di moneta virtuale. Stiamo parlando al singolare ma, in realtà, non esiste una sola criptovaluta: i Bitcoin sono solamente i più conosciuti e valutati in circolazione ma ci sono anche i Litecoin, gli Ethereum, i Dash, i NEM, i Ripple, gli IOTA, i Monero…
Come viene calcolato allora il valore della criptovaluta? Vediamo velocemente le ipotesi possibili:
- La sicurezza della crittografia utilizzata da tale valuta che varia a seconda del tipo di moneta di cui parliamo.
- L’impossibilità di coniare un numero di valute elevato cosicché tale moneta non possa essere svalutata dalla creazione esasperata. I Bitcoin per esempio che possono esistere e circolare sono ventuno milioni e non di più.
- La difficoltà nella loro “estrazione” grazie ad un’attività denominata mining che richiede tempo.
- Attraverso il consenso sociale per cui tutti noi in quanto collettività decidiamo e concordiamo sul loro elevato valore.
Ora, vedremo in specifico i vari punti qui sopra riportati utilizzando come esempio i Bitcoin poiché, come già accennato, sono la criptovaluta più conosciuta, ma ciò che diremo sarà anche applicabile alle altre valute virtuali.
Un altra cosa da ricordare, prima di approfondire il discorso, è che il valore di 1 Bitcoin si aggira attorno ai 10-13 mila euro. Logicamente il momento in cui si decide di comprare qualcosa di poco costoso con 1 Bitcoin questi verrà modificato creando una porzione più piccola chiamata satoshi. In altre parole 1 Bitcoin è composto da 100.000.000 satoshi.
IL CRIPTAGGIO E LA BLOCKCHAIN
Come abbiamo già notato la sicurezza è uno dei punti chiave per la criptovaluta la quale, prima di tutto, pone i propri fondamenti esattamente sul criptaggio del codice, in SHA-256, che la compone. SHA-256 è l’acronimo di Secure Hash Algorithm appartenente alla seconda generazione di algoritmi SHA, mentre il numero 256 indica i bit utilizzati dallo stesso. Questo tipo di algoritmo è stato pubblicato nel 2001 e creato dall’NSA (National Security Agency) e, per quanto riguarda in specifico i Bitcoin, viene utilizzato per due motivi:
- Migliorare la sicurezza e la privacy della creazione di indirizzi dei singoli Bitcoin: ognuno di essi, infatti, dev’essere dotato di un identificativo alfanumerico che abbia una lunghezza compresa tra 26 e 35 caratteri. Questo numero è quello che in gergo informatico si definisce un hash o message digest, ovvero una funzione algoritmica unidirezionale ed univoca (non possono esserci due hash con lo stesso valore) che mappa dati; questo identificativo, generalmente, inizia con 1 oppure 3 indicando il tipo di transazione a cui il Bitcoin è stato sottoposto i quali rispettivamente sono il P2PKH (Pay-to-PubkeyHash) ed il P2SH (Pay-to-Script-Hash).
Le transazioni di tipo P2PKH sono le più comuni ed utilizzate: mettiamo di voler comprare qualche cosa con 1 satoshi in un negozio virtuale. Questi avrà un suo specifico indirizzo virtuale contenente un hash con chiave pubblica per accettare il pagamento in Bitcoin: tale hash verrà inserito nello script della transazione. Per poter accedere a tale pagamento il negozio virtuale dovrà sbloccare lo script - proof of work, che permette di ottenere una valuta decentralizzata ed anonima.
Prima, però, della sicurezza e del criptaggio deve esistere una struttura che si ponga come base e fondamento di tutto questo: ecco, quindi, definita la blockchain che, in altre parole, altro non è che quella tecnologia che permette a tutte le criptovalute di esistere.
Ciò significa che la struttura blockchain non viene utilizzata solamente dalle criptovalute ma da diversi e svariati progetti eterogenei. Se dovessimo, quindi, fare un esempio pregnante che ci permetta di comprendere cosa effettivamente sia la blockchain, possiamo paragonarla a delle rotaie che vengono sfruttate e su cui corrono diverse tipologie di mezzi.
DA DOVE PROVENGONO LE CRIPTOVALUTE?
Spesso, parlando di criptovalute, emerge anche un’altro termine tecnico che indica la modalità in cui questo tipo di valuta virtuale viene generata, ovvero il mining, o estrazione.
Sebbene non sia il metodo più diretto e meno dispendioso in termini di tempo vi è la possibilità per chiunque di dedicarsi all’opera di estrazione utilizzando delle pool pubbliche. Cosa significa tutto questo? Prima di tutto, fare mining da soli, oggi come oggi, con solamente il proprio computer non permetterà di raggiungere alcun risultato: sarebbe come prendere un piattino per filtrare oro da un terreno del quale non si conosce nemmeno se vi è presenza o meno di tale minerale. Le pool pubbliche, quindi, permettono a svariati utenti di collaborare assieme; più computer condividono i propri sforzi nella ricerca di questo oro virtuale dividendosi, in modo proporzionale al contributo apportato, ciò che viene trovato. Logicamente, ed in tal caso, colui che guadagnerà di più sarà sempre e comunque il proprietario della pool che richiederà una percentuale del ricavato (dal 1% al 4%) agli altri utenti. Inoltre, non dimentichiamoci che la maggior parte di queste pool, ovvero circa l’85%, è localizzata in Cina (per fare qualche esempio delle più importanti e conosciute pool ci sono: Antpool, Pooling, F2Pool, etc.).
A questo proposito possiamo anche ricordare che, già nel 2017, Adguard indicava che alcuni siti di streaming (Openload, Streamango, Rapidvideo and OnlineVideoConverter, Piratebay) utilizzavano le risorse dei computer tramite degli ignari utenti (questa pratica viene denominata comunemente cryptojacking) per fare mining della criptovaluta Monero.
Il modo, invece, più semplice e veloce per ottenere la criptovaluta è quella di acquistarla o di dedicarsi al suo trading. Nel primo caso è necessario investire ed acquistare l’intero prezzo della risorsa, nonché creare un account per lo scambio ed un digital wallet (portafoglio digitale); mentre nel secondo caso basta iscriversi ad un account di brokeraggio e dedicarsi ad una sua piccola porzione evitando, così, l’utilizzo di depositi e di tasse per accedere alla moneta. Non vi è quindi la presenza di plusvalenze e non si acquista o vende direttamente la criptovaluta; d’altro canto la possibilità di perdita è maggiore nel trading se si sceglie la strategia sbagliata.
Per coloro che sanno l’inglese, postiamo qui sotto un’immagine che ci sembra più che esauriente nel rispondere direttamente ad alcune domande sulla blockchain.
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