Quando l’hacking diventa responsabilità

“Conoscere è potere” – Francis Bacon

Ma cosa succede quando quel potere può violare, controllare o danneggiare?

Benvenuto in una puntata di “Ethics and Code” più profonda. Oggi non scriviamo solo di codice: parliamo anche di coscienza.
Il nostro scopo è chiederci, qui, dove finisce la competenza tecnica e dove comincia la responsabilità morale.

Hacking: curiosità o violazione?

Immagina: trovi una porta virtuale socchiusa, non protetta da password. Non hai forzato nulla. Hai solo… guardato di sfuggita, ma sei dentro.

La domanda non è: “Ho le capacità per entrare?”
La vera domanda che devi port è “Ho il diritto di farlo?”

Questa è la differenza tra potere e legittimità: la prima è relativa alla tecnica, la seconda è indicata dall’etica.

Il dilemma di Prometeo

Nella mitologia greca, Prometeo ruba il fuoco (la consocenza) agli dèi e lo dona agli umani. Ma, per questo atto, viene punito.
Il fuoco è buono o cattivo?
Dipende da chi lo usa, e perché, il fuoco in sé è solamente uno strumento, un mezzo.

Un po’ come ci insegna il trailer del vecchio videogioco Deus Ex: Human Revolution della Square Enix (consigliatissimo da giocare se ami il cyberpunk e gli FPS con un buon mix di RPG), l’hacker è, in un certo senso, un Prometeo moderno: accede alla conoscenza nascosta ed ai meccanismi interni del sistema. Ma cosa fa con quel sapere?

La filosofia insegna che ogni atto tecnico è anche un atto morale, anche quando non ce ne rendiamo conto.

Tre esempi (filosofici) da smontare e ricostruire

  1. Utilitarismo (Bentham, Mill):
    “Se uso questa vulnerabilità e miglioro la sicurezza per tutti, ho fatto bene?”
    Dipende: se la sfrutti per vantaggio personale senza permesso, anche se aiuti, hai comunque violato un principio. L’intenzione non annulla il metodo d’aver agito senza permesso invadendo uno spazio che non ti appartiene. La sicurezza impone non solamente la tecnica, ma anche un buon grado di fiducia! La soluzione è: la segnalazione etica e responsabile.
  2. Kant e l’imperativo categorico:
    “Agisci solo secondo quella massima che vorresti diventasse legge universale.”
    Se tutti facessero quello che stai per fare, il mondo digitale sarebbe un posto migliore o più pericoloso?
  3. Responsabilità e azione (Hannah Arendt):
    “Il più grande male del mondo è il male commesso da nessuno”
    Non basta dire “ho eseguito un ordine” o “era solo un test”.
    Agire nel cyberspazio è agire nel mondo reale. Le conseguenze esistono, anche se non si vedono.

Etica hacker: non è solo “non rubare”

L’etica hacker storica nasce negli anni ’60–’80, nei laboratori del MIT e nei collettivi online.
I principi base erano (e sono):

  • L’accesso alla conoscenza è un diritto.
  • Le informazioni vogliono essere libere.
  • L’autorità va messa in discussione.
  • Il codice è potere – e va condiviso.

Ma nel 2025 questa etica si evolve: non è solo libertà, è anche cura. Non è solo accesso, è anche consenso.

In un mondo dove tutto è connesso, ogni script è una relazione di fiducia, anche e soprattutto tra sconosciuti.

Dilemmi reali, scelte difficili

Mettiamo il caso:

  • Trovi una falla in un sito scolastico, non c’è firewall ed il database è esposto.
    La segnali? Ne parli con altri? Fai uno screenshot?
  • Vedi un amico usare tecniche di phishing “per scherzo”.
    Ridi con lui? Gli dici che è un crimine? Fai finta di niente?

Ogni scenario è una decisione morale, non solo tecnica. E spesso è scomoda. Ma il mestiere dell’hacker etico è anche questo: fare la cosa giusta, non la cosa facile.

Perché il codice non è neutrale: chi lo scrive esercita potere attraverso la conoscenza, l’hackerare può porsi anche come atto politico (v. gli hacktivisti), ma ciò non significa che esso sia anche etico.

Il paradosso dell’invisibilità

Nel mondo fisico siamo frenati dallo sguardo degli altri.
Online siamo invisibili.
La vera etica nasce quando nessuno ti guarda, ma tu scegli comunque di non fare danni.

Domande per chi ci sta pensando seriamente

  • Se potessi violare un sistema e nessuno lo scoprisse, lo faresti comunque?
  • Come cambia la tua etica quando sei frustrato, arrabbiato, o sottovalutato?
  • La conoscenza deve sempre essere condivisa, o a volte va custodita?

Verso un’etica personale del codice

Se vuoi fare davvero hacking etico, non ti basta sapere.
Devi anche decidere chi sei, ogni volta che tocchi una riga di codice.

Costruisciti un tuo codice morale personale, scritto o mentale.
Usalo come una bussola quando il confine tra “test” e “abuso” si fa sottile.

In chiusura

Questo articolo non ti ha dato risposte certe.
Ma l’etica – come l’hacking – non è un quiz a risposta multipla.
È un percorso. E se sei qui a leggermi, probabilmente hai già scelto di iniziarlo nel modo giusto.

🎵 Colonna sonora suggerita per la riflessione profonda:
Nils Frahm – Says
Oppure: silenzio, tazza di tè, una finestra socchiusa.

Fonti ed approfondimenti

  • Immanuel Kant, Fondazione della metafisica dei costumi (Grundlegung zur Metaphysik der Sitten), 1785
  • Jeremy Bentham: An Introduction to the Principles of Morals and Legislation (1789)
  • Hannah Arendt: La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme (1963)
  • Hans Jonas: Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica (1979)
  • Francis Bacon: Meditationes Sacrae (1597), poi ripreso in Novum Organum
  • Michel Foucault: Sorvegliare e punire (1975), La volontà di sapere (1976)
  • Steven Levy: Hackers: Heroes of the Computer Revolution (1984)
  • Lawrence Lessing: Code and Other Laws of Cyberspace (1999)

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